Dettagli Sulla Mostra:
Dopo la morte di mio padre, esplorando l’enorme archivio di disegni e fotografie da lui prodotte nel corso della sua vita, ho trovato una scatola di cartone che conteneva una miriade di ritagli di fotografia delle sue dita: 313 stampe in bianco e nero delle estremità delle sue mani.
Non conoscendo in profondità la storia di mio padre di quegli anni, non è facile immaginare lo scopo di questo curioso materiale. Questa scoperta mi ha spinto a rimodellare il suo lavoro ripristinando un dialogo con lui, ricostruendo la sua presenza attraverso le sue mani. Mi sono ritrovato a la- vorare con innumerevoli frammenti, impossibili da mettere assieme ripristinando il corpo nella sua unità. Eppure, iniziando a fare vari calchi delle mie mani, è emerso un nuovo tipo di unità: identiche alle sue, le mie mani replicate attraverso la cera mi hanno permesso di rivivere la sensazione del suo tocco, incarnato e moltiplicato attraverso la crescente presenza di questi oggetti inanimati. Muovendomi tra tatto e visione, è emersa un’intimità che - pur non potendo sperimentare direttamente - ho potuto rigenerare grazie a una collaborazione tra immaginazione e percezione aptica, attingendo alla memoria.
Il lavoro usa fotografia d’archivio, performance e scultura per esplorare i temi della famiglia, della memoria e della perdita. È una ri- cerca e un desiderio di identità. L’identità è ciò che ci distingue gli uni dagli altri, ciò che ci rende unici e particolari da un punto di vista biologico, psicologico e cultu- rale. Ma se fossimo più simili gli uni agli altri di quanto possiamo immaginare? E se il nostro legame con chi abbiamo perso fosse più sostanziale di quanto possiamo immaginare? E’ possibile che i defunti vivano in noi, non solo nei nostri ricordi, ma fisicamente incorporati e moltiplicati attraverso forma dei nostri corpi?